Post di Luca Mastella

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Founder & CEO @ Learnn | Ex Rocket Internet | Ex Gameloft

La cultura workaholic è nociva, siamo tutti d'accordo! Qui su LinkedIn tantissime persone descrivono la propria vita come focalizzata unicamente al lavoro e questo è un pessimo esempio che, in passato, ho assecondato anche io. Così, per "contrastare" una comunicazione troppo focalizzata al lavorare continuamente, è nata una comunicazione contraria che rischia di essere altrettanto pericolosa. Va benissimo non avere il sogno di creare la startup milionaria, di fare una carriera dove si lavora 24h, ecc... ma non va altrettanto bene creare il mito inverso della mancanza di miglioramento, dell'immobilismo e del "meglio non provare mai piuttosto che rischiare di fallire". L'equilibrio, come spesso succede, sta in mezzo. Se ci sono persone che vogliono una vita più tranquilla e preferiscono dare priorità ad altro fuori dal lavoro, fantastico. Se ci sono persone che vogliono dedicare una fase della loro vita a lavorare tantissimo e questo rende loro felici, fantastico. Ma non raccontiamo alla persona che non vuole dare priorità al lavoro che potrà ottenere gli stessi risultati lavorativi dell'altra. Come non raccontiamo alla persona che vuole dare priorità al lavoro che potrà avere una vita bilanciata e con relazioni sane come l'altra persona. E soprattutto ricordiamoci che la vita è fatta di fasi. Lavorare tantissimo per una fase della nostra vita non ci rende workaholic e dedicarci più alle relazioni per un'altra fase non ci rende degli scansafatiche. Quello che ho imparato nel tempo è proprio non vivere di estremi e lasciare che ognuno trovi il proprio percorso e alla propria velocità. #percorso #lavoro #benessere #workaholic #carriera

Il problema è culturale. In genere chi si racconta come stakanovista risulta una persona di virtù, ambiziosa e con voglia di lavorare. Chi invece rigetta questa retorica viene percepita come persona pigra, poco ambiziosa e che si accontenta. Quindi la gente, nonostante sia naturalmente incline alla seconda condizione, ostenta duro lavro e si racconta come stakanovista. Il punto è che siamo vittime di cambiamenti culturali avvenuti durante la rivoluzione indistriale, quando è stata abolita la schiavitù si è capito che si poteva convincere le persone a lavorare facendo credere loro che il lavoro “nobilita l’uomo” (gli uomini nobili non lavorano) e altra propaganda simile che oggi ha portato alla situazione in cui siamo. Basti considerare che nell’antica grecia dei tempi di Socrate l’ozio era considerata una virtù riservata all’aristocrazia e chi lavorava manualmente era visto come un appestato da evitare. Consiglio a chiunque di leggere “Elogio dell’Ozio” di Bertrand Russel e “L’ozio come stile di vita” di Tom Hodgkinson per comprendere l’evoluzione di questo curioso fenomeno culturale.

Giulia Romagnosi

Communication manager - DE&I expert - Ex Hale - Ex DICE

1 mese

Mi permetto di dire che l'essere workaholic o limitare al minimo le proprie funzioni per dare priorità alla vita personale, non sono oggi scelte che dipendono esclusivamente dal lavoratore. Quella che si critica è una concezione del lavoratore scissa dalla sua esperienza personale di vita e priva di influenza da parte di un settore lavorativo che oggi è più che mai la dimostrazione che il famoso "se vuoi puoi" vale quasi esclusivamente per chi si trova in una posizione di privilegio. In più, specialmente nel nostro paese, ammazzarsi di lavoro non garantisce progressione, aumento di stipendio e neanche stabilità sul lungo periodo (vista la debolezza dei contratti a tempo indeterminato). Quindi la domanda è: non è che, più che parlare della polarizzazione dello stile di vita del lavoratore, sarebbe meglio parlare di come interrompere questa narrativa e costruire un mondo del lavoro dove sia il sistema a trovare il punto di equilibrio più idoneo per il lavoratore? Spostiamoci dalla responsabilità individuale a quella collettiva.

Luca Barone

Disrupting the functional food market as Founder of Fitporn®

1 mese

Dopo qualche anno mi sento di dire: quality over quantity. Che tu sia workaholic o meno

Benedetta Tornesi

CEO & Co-Founder at GRLS

1 mese

Io sto scoprendo sulla mia pelle quanto sia vera la frase che non è uno sprint ma una maratona e per mantenere un livello alto a lungo termine è fondamentale trovare il proprio equilibrio. Detto ciò sono d'accordo sull'importanza della trasparenza e nel dire che per ottenere grandi risultati sono necessari grandi sacrifici. Grazie per la condivisione e il reminder Luca Mastella!

Alessia Esposito

Communication and Marketing Manager

1 mese

Ciao Luca, grazie per questi spunti di riflessione. Non credo che l'immobilismo possa però essere considerato l'opposto dell'eccessivo (e disfunzionale) focus sul lavoro. Tutt'al più, si tratta di una delle possibili conseguenze dovute al disinteresse che i sistemi lavorativi moderni talvolta riscuotono nelle persone, proprio perché non sempre ne colgono le motivazioni. Io credo, molto più semplicemente, che ciò che risulta "vincente" nella narrazione professionale sia molto cambiato e ciò che risulta interessante per chi si impegna nel lavoro, vada misurato in funzione di diverse variabili. Perché le persone sono diverse, non si può definire un solo criterio di "impegno" (tanto meno credere che sia il tempo) e decidere che sia il solo a determinare il valore professionale di una persona e la possibilità di fare bene (o anche di far carriera, nella fase migliore, come dici giustamente). C'è anche un tema di visione. Io, ad esempio, guardando a Paesi come Svizzera, UK, Nordics: ho imparato che fare bene nel tempo che hai a disposizione invece che fare sempre e tanto, è spesso sintomo di saper fare.

Giorgio Subba

Sales & Business Consultant

1 mese

Quando si osserva la vita attraverso la lente del bianco e nero, si rischia di cadere in una visione eccessivamente polarizzata o polarizzante. Come hai saggiamente affermato, la verità spesso risiede in una via di mezzo. Nelle tradizioni orientali, questo concetto si esprime attraverso il simbolismo dello Yin e dello Yang, dove il nero contiene un seme di bianco e il bianco un seme di nero, rappresentando un equilibrio dinamico. L'universo stesso tende verso l'equilibrio. Tuttavia, mi domando: quale tipo di “equilibrio” dovremmo considerare come nostro riferimento? La mia risposta è che il criterio fondamentale dovrebbe essere l'equilibrio psicoemotivo, un equilibrio interiore. Questo non implica ignorare gli altri aspetti della vita, ma piuttosto integrarli in modo ponderato, considerando ogni sfaccettatura della ruota della vita.

Camilla Brenzoni

Digital Marketing Consultant freelance | Copywriter | LinkedIn Content Creator | Storyteller gentile a impatto sociale | Community Leader @WomenX Impact ~💻 Remote Worker

1 mese

Parole sante. Risuona soprattutto una frase: "non raccontiamo alla persona che vuole dare priorità al lavoro che potrà avere una vita bilanciata e con relazioni sane come l'altra persona". Fondamentalmente ognuno faccia ciò che desidera, ma in base alla mia esperienza chi flexa troppo su LinkedIn o ha dei vuoti da colmare oppure lo fa per strategia. Vi auguro sia per la seconda, perché significa che c'è un disegno :)

Alfredo Di Stasi

Seo, copywriter, marketer, adrestia666. fondatore di sto ca€€o, conoscenze 0%

1 mese

Ce la stamo raccontando tutti... Con la nostra piccola (e talvolta difettosa) bussola cerchiamo di seguire la direzione che crediamo porti alla felicità. In questa ricerca, molto spesso, si è infelici e ci si racconta che solo arrivati alla meta si potrà godere della felicità che meritiamo... Arrivati finalmente a quella che credevamo essere la meta, ci accorgiamo che non è poi così bella come la immaginavamo e, quindi, segniamo un'altra X sulla mappa, "questa volta la meta sarà certamente quella giusta"... E così in un loop continuo finché non cada l'ultimo granello che ci resta nella clessidra del tempo Magari ci sono cose che ci renderebbero felici anche adesso, ma non le vediamo perche siamo troppo impegnati rincorrere la felicità.

Giorgio Montefusco

Marketing Manager | Innovation-driven | Formerly at Saiwa-Mondelez-Sony-Vandemoortele | Driving Success in the Pet Food Industry

1 mese

Luca sono d’accordo, è l’ora che questa cultura della “comodità” passi di moda. È stato un trend, agevolato da contesti unici nel loro genere. I giovani oggi pensano che il mondo sia cambiato, ed è in parte vero, ma se non ti fai il mazzo devi essere consapevole di dove puoi arrivare. Imprenditori, professionisti, medici.. per fare carriera devono lavorare duro, come dici tu almeno in una fase della loro vita. Nelle aziende è lo stesso: se non sei capace di lavorare in un certo modo e a certi ritmi non puoi pensare di ottenere qualcosa di rilevante. Up to you!

Chiara Tosi

Digital Strategist | Food&Wine Communication Expert

1 mese

Ciao Luca. Poi sai c'è un fattore che nessuno considera in gioventù ed è l'età.Ti sembra di avere l'infinito davanti e allora lavori lavori lavori tralasciando tutto per raggiungere i tuoi obiettivi e per realizzare le tue ambizioni. E anche con tutto l'impegno non è detto che tu ci riesca. È successo anche a me. Ma il tempo scorre inesorabile e quando ti accorgi che non puoi tirare indietro le lancette dell'orologio e che c'è una data di scadenza..... beh sta a te decidere come vivere il tempo che rimane, breve o lungo che sia. Come dici bene tu ognuno deve poter fare quello che si sente. Poi su chi vende fuffa millantando lauti guadagni stando in piscina beh credo che non serva commentare 🤗

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